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Convegno sulla MONTAGNATERAPIA
Rieti-Terminillo sede APT, 2 Luglio
2004
Promozione della salute
e cura attraverso la terapia della montagna
Giulio Scoppola
Benvenuti a tutti voi. Ringrazio, a nome del
Gruppo di Lavoro per la Montagnaterapia organizzatore di questo
incontro, la Provincia ed il Comune di Rieti, l’Azienda Sanitaria
Locale ed il Dipartimento di Salute Mentale di questa bellissima
città, l’Azienda di Promozione Turistica del Terminillo
che ci ospita per il secondo anno consecutivo, e tutti gli operatori
che hanno permesso la realizzazione di questo convegno.
Sono personalmente felice di essere
ancora una volta “sopraimille”, camminando teoricamente
fra terra e cielo. E questo dopo appena due settimane dal primo
soggiorno di montagnaterapia cardiologico-riabilitativa che abbiamo
organizzato qui al Terminillo e di cui vi riferiremo più
avanti.
Eccoci dunque giunti al nostro quarto convegno. Esso è stato
preceduto nel 2001 dal primo incontro dal titolo: “Curare
a cielo aperto”, nelle sede del Club Alpino Italiano di Roma.
Nel 2002 dal secondo convegno dal titolo: ”Le montagne dell’anima”,
ospiti del Comune di S.Oreste al Monte Soratte e della ASL RM F.
Nel 2003 dal terzo convegno dal titolo: “Montagna psiche soma”,
che abbiamo fatto in questa stessa sala.
Prima ancora della costituzione del Gruppo di
Lavoro, ad opera di un gruppo di Operatori dei Servizi e dei Volontari
del CAI, ero rimasto colpito da un articolo apparso sul “Corriere
della Sera” nel 1992. In esso si parlava dell’esperienza
di un centro ospedaliero nelle Ardenne francesi, dove i malati mentali
venivano condotti in quota, in attività di tipo alpinistico,
per riattivare una risposta adattiva. Erano gli anni in cui in alcune
AASSLL o in Centri terapeutico-riabilitativi accreditati sperimentavamo
una nuova riabilitazione extra-muraria: al mare o in montagna, condotta
in piccoli gruppi e con criteri scientifici. Le osservazioni cliniche
e diagnostiche di chi tornava da questi soggiorni erano cariche
di speranza, ma cozzavano con le cartelle cliniche ufficiali e con
la cultura prevalente nei servizi.
I pazienti all’aria aperta apparivano diversi. Meno passivi,
più consapevoli e coerenti, più socievoli…in
una parola più vivi!
Ma, e questo era ancora più sconvolgente, anche gli operatori
sembravano attingere a nuove risorse terapeutiche e personali. Essi
lavoravano con più energia e passione. Anche il corpo e le
emozioni entravano, con più forza e fecondità, a fare
parte delle relazioni di gruppo.
E’ proprio questa grande messe di osservazioni
condivise lo spunto che ci ha fatto incontrare.
In realtà differenti, con alle spalle formazioni differenti
e con esperienze di montagna differenti.
L’appartenenza al Club Alpino Italiano e la personale maturazione
come Istruttori, alpinisti, escursionisti, sciatori, arrampicatori,
accompagnatori, frequentatori a vario titolo, ha permesso di collocare
queste prime esperienze e di farle crescere. Roma, Rieti, Frascati,
Ciampino, Campagnano, Tivoli, ed ora Trento, Bergamo… e chissà
quante altre realtà in Italia e in Europa. Gruppi di lavoro,
operatori singoli, associazioni sportive, comunità tutti
consapevoli delle potenzialità terapeutiche di un lavoro
da articolare nella ed attraverso la montagna ed i suoi tempi, i
suoi luoghi, i suoi punti di appoggio e rifugi, i suoi uomini.
Quest’anno Abbiamo scelto il titolo “Cultura
e cura in montagna: storie e trasformazioni” ad indicare alcuni
passaggi importanti nel corso di questa meravigliosa e innovativa
storia.
Se il “Gruppo di lavoro per la Montagnaterapia della regione
Lazio”, costituitosi ufficialmente nel 2001 in occasione del
convegno di Roma, si è via via ingrandito, integrando nuovi
servizi, operatori e realtà culturali differenti, questo
indica la robustezza dell’intuizione originaria: la “cura
della montagna”.
Parlare di cultura e cura oggi nel settore della salute-sanità,
equivale a riaffermare l’idea che anche in questi tempi, in
cui sembra prevalere una generale impotenza e contrazione nelle
politiche sanitarie, si possa sottolineare l’imprescindibile
gerarchia che lega e ordina la cura per la salute dei singoli o
dei gruppi, con una seria cultura di riferimento e una realistica
programmazione economica. La montagna rappresenta un territorio
ed una cultura, a volte violentata e sfruttata, ma viva e feconda;
pedagogia fondamentale per l’uomo moderno e risorsa sanitaria
naturale, a basso costo.
In questi anni nel Lazio il Gruppo di Lavoro per la Montagnaterapia
ha promosso, accompagnato e rappresentato numerose iniziative nei
Dipartimenti di Salute Mentale romani e della Provincia di Roma
e Rieti, e nel Privato Sociale; si è integrato con la Riabilitazione
Cardiologica dell’Ospedale S.Spirito (di Roma), promuovendo
l’apertura di un nuovo settore di intervento ospedaliero per
patologie cosiddette internistiche e non solo psichiatriche. Siamo
stati testimoni della costruzione di storie e progetti e abbiamo
potuto osservare le inevitabili trasformazioni psicologiche, fisiche
e relazionali (e nella concettualizzazione dei modelli di intervento),
di chi si è accostato (operatori e pazienti) alla montagnaterapia.
Possiamo oggi senz’altro affermare che le
attività della e nella montagna, le relazioni e le trasformazioni
che a contatto con essa avvengono (e parliamo della vasta cultura
storico-alpinistica e solidaristica rappresentata all’interno
del Club Alpino Italiano), modificano gli aspetti patologici presenti
ai vari livelli nelle malattie della mente, in quelle del corpo
e nelle problematiche relazionali. In altri termini l’organismo
malato, danneggiato talvolta dall’esposizione ad un ambiente
patogeno o da un non corretto stile di vita, può giovarsi
significativamente del metodo che abbiamo chiamato “montagnaterapia”.
La terapia della montagna mette in luce le potenzialità terapeutiche
della natura non modificata dall’uomo, della “wilderness”.
Lì articola gli interventi secondo protocolli precisi e differenti
per patologia.
Le malattie psicologiche, cardiologiche, oncologiche, solo per citare
il nostro target attuale e prossimo, lasciano intravedere un’eziologia
che comprende in ogni caso fattori relazionali, emozionali, stili
di vita ed esposizione ad agenti inquinanti. Uno stress eziopatogenetico
che giustifica la cura in (ed attraverso) un nuovo “ospedale”.
Crediamo fermamente che la montagna di bassa e media quota possa
essere metaforicamente quel luogo “ospitale” (in quest’accezione:
“nuovo ospedale”) dotato di alcune caratteristiche particolari,
ma soprattutto carico di potenziali stimoli sensoriali, di significati
psicologici, di fisicità naturale e di relazioni significative.
Esso può rappresentare un luogo di cura e riabilitazione
potentissimo.
Ma contemporaneamente alla cura c’è
per noi l’intervento di prevenzione secondaria e la promozione
della salute.
Come fare prevenzione secondaria o promozione della salute in montagna?
Quali protocolli usare? Quale popolazione scegliere? Quali sinergie
attivare? Con quali costi? E quale relazione c’è fra
prevenzione, promozione e cura della salute in montagna? Molte risposte
sono solo accennabili ma anche qui la Montagnaterapia può
dire la sua. Le Psicologia della Salute ci insegna che il processo
della malattia si articola e prende forza laddove viene meno, per
qualsiasi motivo, una sorta di “pressione di salute”,
ai diversi livelli dell’esistenza: corporeo, psicologico,
relazionale-sociale.
Dalla dinamica meteorologica sappiamo come ad esempio un abbassamento
di pressione barometrica, sia preludio all’arrivo di perturbazioni
che si insinuano là dove il cedimento permane o si accentua.
I malati mentali, i malati cardiologici o quelli oncologici pongono
al sistema dei curanti il problema di un’efficace ed economica
prevenzione secondaria. E’ anche a questo livello che si dovrà
progettare un intervento di montagnaterapia, là dove il lavoro
verterà maggiormente sugli aspetti port-traumatici, depressivi
o legati all’autostima predittori di eventuali recidive.
Quale rilevanza psicologica e psicosomatica potrebbe inoltre avere
un intervento precoce e a dosi “omeopatiche” in montagna,
dopo una prima crisi psichiatrica; da attuare integrando i tradizionali
presidi farmacologici con un intervento capace di impedire i classici
circuiti della cronicità residenziale o diurna?
E quale impatto sulla strutturazione di complessi circuiti patologici
potrà avere un intervento di montagnaterapia cardiologia
effettuato, con tutte le indicazioni del caso, a “poca”
distanza dall’evento traumatico? Certo non assisteremmo al
tradizionale “demansionamento” familiare e sociale,
che tanto impatto sappiamo avere sugli aspetti dell’umore
e della stima di sé del malato cardiopatico. E cosa dire
infine del malato oncologico o nefropatico post-dializzato? Quali
ipotesi sostenibili possiamo fare a proposito del periodo post-operatorio
e del vissuto che accompagna il terribile “incontro”
con un tumore o con una disabilità permanente? Anche qui
la montagnaterapia può offrire esperienze di gruppo capaci
di elaborare via via gli aspetti traumatici connessi alla malattia
ed alla disabilità, “appoggiando” correttamente
all’ambiente il corpo e la mente feriti.
L’ambiente naturale, il terreno fisico, il verde e i grandi
spazi della montagna rappresentano, con le variazioni meteorologiche
a volte repentine, il naturale rispecchiamento per la paura, l’impotenza,
la rabbia, la solitudine. Il metodo che proponiamo offre una concreta
possibilità di entrare quindi in relazione con se stessi
attraverso la relazione con i luoghi, i tempi, le persone, le tecniche,
i materiali con cui si lavora nelle sessioni di montagnaterapia.
Devo dire come inciso che sarà nostra cura riuscire a scrivere
un manuale sulla montagnaterapia per favorire, nei differenti campi
sanitari d’applicazione, il raggiungimento di una necessaria
omogeneità dell’intervento, per una verifica dei processi
e per una valutazione credibile dei risultati.
Da ultimo, ma forse la più importante,
la promozione della salute attraverso la montagnaterapia suona come
un paradosso. Dovremmo parlare di naturale e ripetuta esposizione
e frequentazione degli ambienti naturali e della montagna (comprendendo
le tecniche e i materiali) alla base di un corretto e armonico sviluppo
del sé in un gruppo. Questo ci porterebbe a generalizzare
il target possibile (ed opportuno) per un intervento di prevenzione
primaria. Stiamo però sconfinando nell’utopia. Un’utopia
nata dalla constatazione della deprivazione sensoriale, emozionale
e psicologica dell’uomo moderno, “rintanato” prevalentemente
in città rumorose, affollate, maleodoranti; prive d’orizzonti
percettivi: sostanzialmente “a due dimensioni”.
Ascendere “sopraimille”, per utilizzare allora l’espressione
di un nostro collega trentino, organizzatore di un seminario a settembre
in cui incontreremo operatori di montagnaterapia del Nord, può
significare metaforicamente e fisicamente accedere ad una dimensione
nuova in cui il sé sofferente trova un naturale rispecchiamento,
capace di riattivare processi di cura assai potenti.
Questo quarto convegno vuole rappresentare un
tentativo di andare avanti nell’elaborazione, nella comunicazione
e nella proposta di un approccio prima di tutto culturale, poi terapeutico,
capace di generare nuove storie e significative trasformazioni.
Di questo vi accorgerete senz’altro nelle
relazioni che seguiranno.
Grazie!
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