Convegno
“Montagna Psiche Soma”
Terminillo-Rieti, 3 luglio 2003
Giulio
Scoppola
La “Montagnaterapia”: un nuovo orizzonte terapeutico-riabilitativo
Una premessa è dovuta: vorrei rimandare
tutti i presenti alla lettura degli atti del Convegno sulla Montagnaterapia
dell’anno scorso (Giugno 2002) che si svolse a cura della
ASL RM F a S.Oreste-Monte Soratte, e che ebbe come titolo: “Le
montagne dell’Anima”.
Una lettura degli atti, in via di pubblicazione a cura del dr. Munelli,
anche successiva a questo convegno, faciliterà di molto la
comprensione degli argomenti di questi lavori.
Dove ha origine la “montagnaterapia”?
“Simile all’acqua è l’anima
dell’uomo. Viene dal cielo, risale al cielo, di nuovo scendere
deve alla terra, in perpetua vicenda”. (Goethe)
Oramai quattro anni fa (nel 1999) un giornalista,
Matteo Serafin, scrisse un articolo su "Famiglia Cristiana"
(n° 40/99) dal titolo: "Quando la montagna diventa un aiuto
alla vita". In esso sintetizzava le grandi speranze suscitate
da un convegno di amministratori, operatori sanitari, guide alpine
e giornalisti specializzati a Pinzolo di Trento. L'articolo, e tutto
il convegno, ribaltavano uno stereotipo frequentemente utilizzato
dai mass-media: dalla "montagna che uccide" si approdava
intelligentemente alla "montagna che aiuta a vivere e che cura”;
questo attraverso la testimonianza di operatori del settore e di
pazienti. Da quell’occasione si iniziò ad unire stabilmente
la parola “montagna” con la riabilitazione e la “terapia”.
Ancora un passo indietro: nel 1992 (esattamente il 26/11/92) un
articolo del "Corriere della Sera" (a firma Ulderico Munzi)
titolava: "malati di mente alpinisti per guarire". Nel
Centro Ospedaliero di Bel Air in una località delle Ardenne,
in Francia (siamo nel 1984), "a un semplice e coraggioso infermiere"
venne l'idea di "strappare i suoi malati, tra i quali c'erano
alcuni schizofrenici, da quei padiglioni di ospedale dove vegetavano
da anni annichiliti dai tranquillanti e dal rito manicomiale"
portandoli a 2500 metri di quota ed oltre, dove "l'umanità
riaffiorava davanti al pericolo ed all'imprevisto".
Molte sono state le esperienze terapeutico-riabilitative realizzate
in questi anni con “l'aiuto” della montagna nelle AA.SS.LL.
della Regione Lazio ma anche in altre regioni.
Nel 1993 un video realizzato nella ASL RM E testimoniava di un progetto
pilota nel campo della salute mentale (cfr. Progetto Corpo-Mente-Ambiente
del CD di S.Godenzo) in cui la natura non modificata dall’uomo
e la montagna si integrava gradualmente al Centro Diurno nella strada
del recupero di una salute psicofisica e sociale. Alcune esperienze,
come quella tutt'ora in corso della Comunità Terapeutica
Montesanto (iniziata nell'agosto del 1997 sempre nella ASL RM E)
hanno avuto una continuità e organicità davvero significative
dotandosi di verifica sistematica in supervisione; di questa ci
parlerà l’educatore Dino Ermini. Altre ancora hanno
appena ricevuto i finanziamenti pubblici necessari a partire con
il lavoro, è il caso ad esempio della ASL RM B (con il dr.
Vincenzo Scala che vi parlerà nel pomeriggio). Molte altre
iniziative appaiono meno strutturate e visibili, ma non per questo
sono meno significative (solo per rimanere nel territorio regionale).
Più recentemente la Fondazione Bosis di Bergamo ha finanziato
un progetto di montagnaterapia sul Kilimanijaro di cui si è
molto parlato sulla stampa specializzata e in internet; mentre la
Rai ha prodotto un bel documentario sul viaggio di un ragazzo autistico
e del suo “allenatore” in Himalaya.
Un progetto di montagnaterapia che ci sta particolarmente a cuore,
infine, si sta svolgendo efficacemente nella ASL di Rieti che ci
ospita, con la grande risorsa del territorio e dei rifugi del Terminillo.
Dopo il seminario "Il Monte Analogo, la montagna come sfondo
terapeutico e rieducativo" che si è svolto nella sede
della Comunità Montesanto della ASL RM E nel 1999, e l'incontro
di presentazione della interessantissima esperienza di Alberto Rubino
e del suo viaggio in Himalaya che ho citato prima, dopo il seminario
di studio "Curare a Cielo Aperto" del Giugno 2001 ospiti
del C.A.I. di Roma abbiamo costituito il "Gruppo di Lavoro
per la Montagnaterapia", formato dal CAI di Roma e di Rieti,
da alcuni Dipartimenti di Salute Mentale delle AA.SS.LL. del Lazio
e dall'Area di Psicosomatica e Psicologia Ospedaliera della ASL
RM E.
Esso attualmente lavora con continuità occupandosi della
promozione di nuovi progetti terapeutici e riabilitativi e curando
di far conoscere questo approccio al grande pubblico tramite articoli
divulgativi e scientifici, interviste e convegni.
Questo incontro si pone quindi in linea con quello di Pinzolo e
con tutte le numerose occasioni di approfondimento scientifico e
tecnico-amministrativo che si sono svolte in questo periodo.
Ma soprattutto vuole contribuire a tessere la rete della montagnaterapia
come denominatore comune di tutti i molti progetti pubblici e privati
che si sono susseguiti negli ultimi anni, con o senza la consapevolezza
di un paradigma teorico alle spalle, e di quelli che seguiranno.
Agli amministratori della salute dobbiamo far conoscere questa montagnaterapia
di qualità; nei vari settori di applicazione, con le sue
speranze i suoi costi contenuti e soprattutto i suoi risultati,.
Goethe ci ricordava che il rito dell’ascesa
si ripete nell’uomo moderno che, come l’acqua della
cascata, scende e risale per soddisfare i bisogni dello spirito.
Da Petrarca in poi (ascensione al Mont Ventoux del 1336) diventa
cosciente il rapporto paesaggio-spirito: lo spirito cerca il paesaggio.
L’uomo (anche malato) è anche “fatto” per
contemplare, per conoscere, per immergersi nelle profondità
del suo spirito, della sua mente del suo corpo e della sua sofferenza;
per trovare un punto di appoggio e superarla.
Conoscere se stessi con l’aiuto del paesaggio non costruito
dall’uomo quindi. Perché certo apparirebbe difficile
non utilizzare uno specchio così potente ed evocativo. Ma
anche utilizzare il gruppo per riconoscersi dopo il trauma o la
malattia; per togliere ulteriore spazio alla malattia dentro di
sé: “immettendo salute”, anche attraverso relazioni
ed emozioni nuove.
Ecco in pochissime parole cosa è la montagnaterapia: una
cura di gruppo in montagna che ridà “pressione”
alla salute psico-fisica e psico-sociale in qualunque campo la si
applichi.
Quali allora i settori?
Attualmente: “Salute Mentale” e “Salute Cardiologica”;
in prospettiva tutte quelle patologie che risentiranno positivamente
di uno spirito di una mente e di un corpo rigenerati da una esposizione
al paesaggio naturale ed ad una dinamica di un gruppo opportunamente
guidata. Infatti chi potrebbe ancora sostenere la divisione cartesiana
fra psiche e soma; e, aggiungeremo noi, fra individuo e contesto
fisico e sociale? E chi ancora potrebbe misconoscere i benefici
effetti sull’organismo biologico e psico-sociale? (ma di questo
vi parlerà il dr. Simone Gazzellini)
Conoscere se stessi in montagna vuol dire conoscere i limiti del
mio corpo e della mia mente e prepararmi a superarli fin dove possibile,
per recuperare maggiore fiducia, autostima, energia, desiderio…quindi
salute! Una salute (secondo l’OMS) non solo assenza di malattia.
Il paradigma teorico che utilizziamo attacca la
patologia indirettamente e senza lasciarsi intimidire dai suoi presunti
limiti; ricostruendo ed estendendo una salute possibile, questo
può apparire paradossale e infatti lo è.
Alcuni esempi ci aiuteranno a chiarire.
Il primo è tratto dall’ambito della cosiddetta “salute
mentale” (in realtà sempre più psichiatria).
Molte energie (e molto denaro) vengono spese per
attaccare frontalmente la malattia mentale con farmaci, strutture
residenziali, ricoveri, sussidi… Molto meno si fa per finanziare
progetti che puntino ad un recupero psicofisico, ad una nuova competenza
lavorativa, all’inserimento in associazioni ambientaliste
o di volontariato con l’obbiettivo di ampliare gli spazi di
salute e così “sottrarli” alla malattia. La montagnaterapia
prevede così la formazione di gruppi che possono diventare
competenti nel praticare l’escursionismo (o l’alpinismo
di base) come mezzo di conoscenza di sé e dell’altro
e come occasione di crescita psicomotoria e psicosociale (vedi la
proverbiale solidarietà dei montanari); ma anche come occasione
lavorativa.
Immaginatevi un paziente psichiatrico sprofondato in una poltrona
per ore davanti ad una televisione spenta, che fuma da solo, e poi
lo stesso individuo che dopo un trattamento annuale o pluriennale
di montagnaterapia collabora al tracciamento di alcuni sentieri
del Parco, ricevendo un compenso per la sua prestazione… Tutto
questo lo stiamo tentando!
Il secondo esempio è tratto dalla riabilitazione cardiologica.
Immaginatevi ora un paziente che ha avuto un infarto
e dopo aver fatto la “angioplastica” per riaprire le
arterie coronarie che irrorano il cuore (spiegazione), o dopo altri
interventi chirurgici, entra nella fase del dopo l’esperienza
traumatica. E’ qui possibile una reazione depressiva o una
ansia che tutto ciò possa riaccadere, o una rabbia mista
a timore. Egli comincierà ad avere paura del suo corpo e
delle sue emozioni (che potrebbero aver contribuito alla sofferenza
ischemica). Dopo la riabilitazione protetta in ospedale egli ha
bisogno di svezzarsi… Attualmente solo in pochi centri si
pratica una montagnaterapia cardiologica, che significherà
dopo la palestra e la ciclette (a contatto con i camici bianchi)
“azzardare”, con tutte le accortezze del caso, una uscita
facile in montagna con l’obbiettivo ad esempio di un rifugio
da raggiungere, e successivamente di una facile cima, scendendo
poi a valle con una sicurezza di sé maggiore... Ma anche
su questo argomento vi segnalo le relazioni specifiche della dr.ssa
Francesca Lumia, cardiologa, e della fisioterapista Manuela Michetelli.
“Conoscere i limiti del mio corpo e della mia mente e prepararmi
ad ampliarli fin dove possibile, per recuperare fiducia, autostima,
energia, desiderio…quindi salute”. Ciò che abbiamo
detto poc’anzi per la salute mentale lo ritroviamo qui ancora
valido per la salute del cuore.
Il terzo ed ultimo esempio è tratto dalla psicooncologia.
Molto si dice sui tumori e sulla possibile influenza
degli aspetti mentali ed emozionali su di essi. Molto si scrive,
altresì, sulle conseguenze psicologiche e sulle possibili
recidive in alcuni soggetti che non hanno “superato”
la malattia, nonostante gli interventi messi in campo.
L’esperienza dell’avere o avere avuto un cancro certo
sconvolge la vita. Il recupero è lento; l’attenzione
rimane concentrata (ossessivamente) su di un soma o su di una psiche
che, per vie misteriose, hanno potuto produrre questo temuto male…(e
potrebbero riprodurlo).
Attività di montagnaterapia collocate nel momento giusto
del percorso riabilitativo (o anche in fasi precoci della malattia)
possono rappresentare per alcuni malati quel nuovo incontro con
un paesaggio naturalmente antistress, con un corpo ed uno spirito
impegnati in un percorso, quindi fonte di sensazioni immediate e
non sede di fantasmi! Con un gruppo di altri malati capaci di attivare
(se ben facilitati) reali processi psiconeuroimmunoendocrini che
possono condurre, oramai è più che una intuizione
clinica, fuori dalla malattia oncologica e dalla paura.
Sono solo alcuni esempi generali per aprire il campo ai settori
in cui la montagnaterapia, cioè lo voglio ripetere, una cura
e o una riabilitazione psicosomatica di gruppo in montagna, se si
utilizzano gli aspetti teorici e le linee guida via via definite
dal “Gruppo di Lavoro per la Montagnaterapia della Regione
Lazio” può essere utilizzata (ma di questo tratterà
anche la relazione del dr. Nicola De Toma).
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