Victor
Sanchez
Usi speciali dell'attenzione (da"
Gli insegnamenti di Don Carlos")
Edizioni Il Punto d'Incontro, 1995 (pag. 144 -155)
Uno dei fattori che nutrono il dialogo interno
è che manteniamo la nostra attenzione su di esso, cosa che
l'uomo comune fa tutto il tempo. Poiché la voce del dialogo
interno è la voce dell'ego, possiamo dire che si tratta della
tendenza ossessiva dell'ego a focalizzarsi su se stesso
Perciò qualunque tecnica volta a deviare la nostra attenzione
da questa fabbrica di parole interiore, se continuata per un tempo
sufficiente, tende a sospendere il dialogo. Ovvero, se non le si
presta attenzione, la mente si azzittisce. La ridirezione dell'attenzione
è l'elemento chiave di quasi tutti gli esercizi per fermare
il dialogo interno.
Usando questa informazione come base, ognuno può inventarsi
da solo i suoi esercizi. Ciò nonostante, ne descrivo qui
alcuni che sono risultati utili nella pratica.
1. La camminata dell'attenzione
Il camminare è di per sé un buon esercizio, che oltre
a contribuire a un buono stato di salute generale, è estremamente
adatto ad accogliere gli elementi che fanno di una semplice camminata
una camminata di attenzione.
Benché praticamente chiunque sia capace di camminare, la
realtà è che - per l'uomo moderno - camminare nel
modo giusto richiede uno speciale apprendistato, i cui risultati
tendono ad essere anch'essi speciali.
Rispetto al camminare in genere, i maestri sono naturalmente coloro
che per secoli hanno camminato sulla superficie di un essere che
amano, percorrendone instancabilmente i sentieri: gli indios. E'
per questo che molti elementi del modo giusto di camminare ci vengono
direttamente da loro.
La camminata di attenzione è uno degli esercizi migliori
per fermare il dialogo interno. Basta praticarla con continuità
e inevitabilmente ci porta al silenzio. Prima di descrivere alcune
delle sue molte varianti desidero indicarne gli elementi principali:
• L'attenzione non va focalizzata sui pensieri,
ma sulla camminata e gli elementi che la rendono una camminata d'attenzione.
• Camminare in assoluto silenzio. Se è necessario parlare,
sarà meglio fermarsi un attimo.
• Non prestare attenzione ai pensieri e neppure combatterli,
ma lasciarli scorrere come se fossero un suono qualunque.
• Nella camminata non importa la velocità, ma deve
esistere un ritmo.
• Il ritmo della camminata va sincronizzato con la respirazione.
• Focalizzare l'attenzione sul respiro.
• Prestare attenzione all'ambiente circostante e a ciò
che ci fa sentire (mentre bisogna ignorare ciò che pensiamo
di esso).
• Prestare attenzione a ciò che sente il nostro corpo,
in particolare alle sensazioni dell'area addominale.
• Focalizzare l'attenzione sui suoni.
• Camminare con le mani libere. Se c'è bisogno di trasportare
qualcosa, utilizzare uno zaino.
• Il tempo minimo della camminata è quello sufficiente
per raggiungere uno stato di attenzione speciale; una volta raggiunto
non esiste tempo massimo.
Commenti alla tecnica
Gli elementi in corsivo sono indispensabili e gli altri possono
essere inclusi alternativamente, selezionandoli tutti o in parte.
Eseguire una camminata di attenzione mantenendo scrupolosamente
tutti gli elementi può richiedere un certo periodo di pratica.
Quando ci si riesce, si può dire che il praticante "sa
camminare". Gli elementi della camminata di attenzione "di
base" si applicano anche alle sue varianti
Uno dei risultati più sorprendenti della camminata di attenzione
- includendo le varianti - è il verificarsi di stati di coscienza
particolari, come il cosiddetto Stato di Consapevolezza Intensificata,
che può avere diversi livelli. Più la camminata è
attenta e prolungata, più profondo sarà il livello
di coscienza intensa. Anche la pratica influisce sulla profondità
che si può raggiungere. Tutto questo permette di ottenere
stati di percezione e di sensibilità non ordinari, in cui
la possibilità della conoscenza silenziosa diventa qualcosa
di plausibile.
2. Camminare in fila indiana
La fila indiana è una variante della camminata di attenzione
destinata a essere praticata da più persone. Si chiama così
perché gli indigeni di molte parti del mondo - che sanno
parecchie cose sia sul camminare che sull'attenzione - camminano
in questo modo. Io personalmente ho imparato da loro. Questa è
una delle mie tecniche preferite, non solo per i molti momenti magici
che mi ha permesso di vivere, ma anche perché rende possibile
unire l'energia e l'attenzione dei partecipanti, producendo un risultato
totale maggiore della semplice somma delle parti. Normalmente questa
è la maniera migliore di camminare in gruppo, specialmente
in posti disabitati ed è indispensabile se il terreno è
poco familiare. Garantisce inoltre il giusto stato di vigilanza.
La camminata ha particolari implicazioni tra gli indios e ci sono
delle differenze basilari con il camminare degli occidentali. Come
occidentali, tendiamo a pensare che lo spostamento possieda due
punti principali: l'inizio e la fine. Così un viaggio qualunque,
sia a piedi che su un veicolo, diventa privo di interesse nei tratti
intermedi. Quello che conta è arrivare, quanto prima tanto
meglio.
Camminare serve solo per arrivare è quindi, lungo l'itinerario,
la caratteristica predominante sarà l'ansia di arrivare.
Oppure, al contrario, l'ansia per ciò che si è lasciato
indietro. Il fatto è che l'uomo moderno ha una seria difficoltà
a collocarsi dove realmente si trova: qui e ora. Così in
occidente la camminata, nella misura in cui è solo un mezzo
per raggiungere un posto, è di solito faticosa e si desidera
che termini al più presto possibile.
Ma la fatica dipende più dall'energia sprecata che dall'energia
necessaria per camminare. Sprechiamo energia soprattutto concentrandoci
sui nostri pensieri invece che sull' azione reale del nostro corpo.
Camminare in modo disattento non solo stanca, ma è anche
pericoloso. Per questo la maggior parte delle persone hanno paura
di camminare in posti che non conoscono, di camminare di notte,
o semplicemente di camminare in generale.
E' tipico, quando si cammina, pensare a ciò che abbiamo lasciato
indietro (il passato), o a ciò che supponiamo ci aspetti
(il futuro), ma difficilmente riusciamo a situarci nella realtà
(il presente). L'indio al contrario, dopo secoli di viaggi a piedi,
sa che una camminata è - oltre che un mezzo per arrivare
da qualche parte - il mezzo per essere dove si è. Sa che
è possibile e benefico camminare per camminare, per il puro
godimento di muoversi. Se si dirige in qualche posto in particolare,
sa che una camminata, per lunga che sia, è fatta di un passo
alla volta. Si colloca nel presente e non si occupa del futuro,
eccetto che per progettare una strategia. Ma una volta che l'ha
decisa, si dimentica del futuro fino a quando questo non diventa
a sua volta presente. E' per questo che l'indio, quando cammina,
non guarda in avanti, o verso la cima della montagna che sta salendo,
ma guarda la terra sotto i suoi piedi.
Se vuole ammirare il paesaggio, si ferma e lo ammira, per poi continuare
a camminare. La camminata dell'indio è una camminata del
qui e ora e non del prima e dopo.
Questo atteggiamento si riflette negli elementi della camminata
in fila indiana, che sono:
• Una guida, che può essere il leader
del gruppo, il coordinatore, o qualsiasi partecipante che conosca
bene il sentiero, oppure che sia in grado di assumersi la responsabilità
di guidare il gruppo per la via migliore, a seconda delle condizioni
in cui si realizza la camminata.
• Camminare in una sola fila, cioè uno dietro l'altro.
Ogni partecipante, a eccezione di chi apre la fila, si mantiene
per tutta la camminata dietro quello che lo precede.
• La distanza tra i partecipanti deve essere costante. Un
braccio di distanza può essere ottimale. E fondamentale che
ognuno mantenga strettamente la distanza, senza aumentarla né
diminuirla, malgrado le variazioni del terreno.
• Lo sguardo si mantiene fisso a terra sul passo che si sta
facendo, senza guardarsi davanti o di fianco. Si può delegare
a chi apre la fila la responsabilità di scegliere il cammino,
senza bisogno di guardare in avanti. Di fatto la vista è
solo un referente secondario, giacché percepiamo con tutto
il corpo
• Si cercherà di trovare un ritmo di gruppo, che può
essere condiviso attraverso la cadenza, suoni sincronizzati sui
passi o con il respiro.
• Si eviterà di pensare al punto di partenza o di arrivo
e di guardare in avanti per "vedere quanto manca".
• Minimo due persone.
Commenti alla tecnica
Uno dei punti chiave di questa camminata è il mantenere un
senso di unità che permetta di collegare l'attenzione e l'energia
di tutti i partecipanti. Esistono due elementi principali per ottenere
questo collegamento: mantenere scrupolosamente la distanza dalla
persona che ci precede e adeguarsi - tutto il gruppo - a uno stesso
ritmo. Se uno dei partecipanti non mantiene la distanza, è
distratto e fuori ritmo, la catena si rompe e gli altri non potranno
approfittare dei benefici addizionali della camminata in gruppo.
3. Seguire l'orma
E' una camminata in fila indiana in cui ognuno, eccetto chi apre
la fila, deve mettere i piedi esattamente dove li aveva messi chi
lo precede. Cioè i piedi di tutti si devono sollevare con
sincronismo esatto. Tutti muovono allo stesso tempo il piede sinistro,
tutti muovono allo stesso tempo il piede destro e così via.
Ogni piede cade sull'orma (anche se non è visibile) del compagno
davanti. Bisogna cercare di "visualizzare" l'orma e di
calpestarla.
Commenti alla tecnica
E' fondamentale in questo caso essere scrupolosi nel calpestare
l'orma e nel mantenere la sincronia del passo, malgrado possibili
cambiamenti di velocità o fermate improvvise a causa di variazioni
del terreno. Se si è concentrati, si possono anticipare sensibilmente
le variazioni. Si raccomanda di praticarla per periodi minimi di
un'ora, senza limiti in quanto al tempo massimo. Se si seguono le
istruzioni, si tende a produrre una specie di "bolla di attenzione"
che avvolge tutto il gruppo. Nella misura in cui si sviluppa la
coscienza di essere parte di un corpo collettivo, si perde in qualche
modo il senso di essere un ego individuale. La magia di questa esperienza
permette di camminare per ore e ore senza provare stanchezza e alla
fine ci si sente pieni di energia, completi e rinnovati.
4. Camminata di ombre
Sebbene questo esercizio sia molto semplice può provocare
intensi stati di consapevolezza intensificata. Questa variante è
anche conosciuta come "camminare con le orecchie". Consiste
in una camminata di attenzione di solito molto lenta, il cui elemento
centrale è rappresentato dal cercare di spostarsi come un'ombra,
in assoluto silenzio, riducendo i suoni prodotti dall'atto di camminare
fino a eliminarli quasi del tutto. Nessuno deve sentire i nostri
passi o la nostra respirazione, neppure noi stessi. Dobbiamo essere
silenziosi come un'ombra che si sposta. Ciò che guida lo
spostamento è il lavoro dell'orecchio. Dobbiamo concentrarci
a tal punto sui suoni - per evitarli - che l'udito diventa il punto
chiave della nostra percezione. Ovviamente in questa maniera di
camminare eviteremo di pestare ciò che fa rumore, preferiremo
sollevare una gamba piuttosto che spingere un ramo, gireremo intorno
alle cose invece di spostarle o calpestarle, cercando sempre il
posto più silenzioso per poggiarvi i piedi.
5. Modo di camminare secondo Don Juan
1. Adottare una qualche posizione speciale per
le mani, come curvare le dita, separare il medio e l'anulare, o
qualunque altra.
Suggerisco che il partecipante sperimenti varie posizioni, fino
a trovare quella che più gli sia consona.
2. Mantenere una visione periferica di 180 gradi, cercando di guardare
tutto simultaneamente ed evitando di mettere a fuoco un punto in
particolare. Gli occhi sono rivolti in avanti, verso un punto appena
al di sopra dell'orizzonte.
Esistono molti altri tipi di camminata di attenzione,
tutti utili per la cessazione del dialogo interno, ma in generale
si tratta di varianti della forma di base, per cui credo che quelle
citate siano sufficienti. Adesso spiegherò la tecnica della
Marcia di Potere, ma prima desidero ripetere che le camminate di
attenzione in generale e la marcia di potere in particolare, sono
esercizi che possono essere collocati nella stessa area degli esercizi
"di attenzione".
6. L'andatura del potere
Questa tecnica può essere eseguita solo in uno stato di silenzio
interiore e comporta l'emergere di alcuni lati della natura "nagual"
del partecipante, in modo parziale se si tratta di un principiante,
o in modo totale se invece è un maestro consumato. La pratica
e l'energia disponibile sono di nuovo gli elementi chiave.
Poiché è una delle tecniche che ci ha dato i risultati
più sorprendenti e poiché praticarla implica la partecipazione
della consapevolezza dell'altro io, per presentarla non basta descrivere
semplicemente il procedimento, che d'altro canto non è tanto
semplice.
La marcia di potere consiste, in termini generali, nella possibilità
di spostarsi a gran velocità, utilizzando un'energia inusuale,
senza dipendere dai sensi nel modo ordinario e senza che sia necessaria
una conoscenza previa del terreno, anche in completa oscurità.
E' come un modo particolare di correre o di trottare. Si può
praticare su qualunque tipo di terreno, ma è meglio scegliere
posti che a causa della ripidezza, dell'irregolarità del
suolo, della presenza di pietre malferme, o per il fatto di trovarcisi
di notte, siano difficili da percorrere in condizioni normali, anche
camminando. E' importante ribadire che la marcia di potere non è
un esercizio normale, come una pratica sportiva. In realtà
non è alla portata di chiunque e per realizzarla non basta
conoscere il procedimento. Dato che si tratta di qualcosa di insolito,
che il corpo esegue senza l'intervento del centro intellettuale,
la riuscita dipenderà principalmente dalla quantità
di energia disponibile e dalla capacità del praticante di
farla lavorare in modi insoliti. Ciò nonostante la includo
qui perché questo libro è diretto a gente che si trova
a diversi livelli di energia e di lavoro. Sebbene la capacità
di realizzare la marcia di potere si possa avere semplicemente per
aver praticato altre tecniche meno complesse, esistono esercizi
che permettono al praticante di avvicinarsi ad essa poco alla volta,
come degli indicatori che lo aiutano a capire se è pronto
oppure no. La marcia di potere appartiene alle possibilità
sconosciute del corpo e in realtà in fondo tutti sappiamo
come eseguirla. O meglio, lo sa il nostro corpo. La gente comune
però si trova talmente scollegata da ciò che il corpo
sa, a causa dell'abitudine di prestare attenzione solo all'ego -
per mezzo del dialogo interno - che risulta molto difficile recuperare
questa conoscenza. In alcune occasioni, persone che si trovavano
in pericolo di morte, o in qualche altra situazione limite, si sono
salvate correndo in completa oscurità, o su terreni ripidi
e con precipizi, senza aver mai sentito parlare della marcia di
potere e senza conoscere alcun procedimento specifico. In questi
casi generalmente si parla di miracoli, o di qualche tipo di intervento
divino, cercando così di spiegare i portenti che possono
verificarsi quando il corpo prende in mano le redini.
Possiamo comunque far pratica in modo relativamente sistematico,
per aiutare il corpo a ricordare la marcia di potere. Esistono appositi
procedimenti per questo, la cui funzione termina quando il corpo
si sveglia e la marcia di potere si realizza. A partire da tale
momento, è il corpo che comanda. La ragione e l'ego, con
i loro desideri e le loro spiegazioni, semplicemente non sono invitati
a partecipare. Ecco uno dei sistemi:
1. Si inizia correndo su un terreno pianeggiante,
di giorno. Nella corsa bisogna cercare di sollevare le ginocchia
il più possibile, fino a sentire che il corpo può
muoversi in questa maniera naturalmente, senza forzarlo. In qualche
modo si deve cercare un punto intermedio tra la tensione e la scioltezza:
i muscoli devono scaldarsi poco alla volta, fino a raggiungere una
flessibilità per così dire "tesa", che non
sconfini nel rilassamento. Così se incontriamo ostacoli,
come ad esempio piccole rocce, non saremo tanto rigidi da danneggiare
le articolazioni, né tanto flaccidi da procurarci una lussazione.
Si tratta di raggiungere uno stato d'animo molto particolare, che
potremmo definire di "tensione rilassata", in cui ci si
sente ben svegli, attenti e attivi, ma con un sentimento interno
di sobrietà e controllo. Si raccomanda di praticare questo
primo passo per periodi di almeno un'ora.
2. Man mano che il corpo assimila quanto descritto nel paragrafo
precedente, possiamo praticare in condizioni più severe,
come per esempio un terreno piano ma irregolare, una pietraia o
il letto secco di un fiume. Possiamo inoltre aumentare gradualmente
la velocità della marcia. L'importante è che nel farlo
ci sentiamo naturali e sicuri, perché altrimenti potremmo
farci male. Bisogna notare come le gambe possono regolare naturalmente
la loro flessibilità quando poggiano su rocce, tronchi o
altri ostacoli. Poco alla volta si deve cercare di sentire il terreno
con il corpo, evitando di guardare ossessivamente il suolo per vedere
dove si mettono i piedi. Lo sguardo dev'essere rilassato e diretto
verso l'area di terreno di fronte a noi, ma senza mettere a fuoco
nessun punto specifico. Mentre in una marcia normale su terreno
irregolare le decisioni rispetto a dove e come poggiare i piedi
dipendono dal rapporto vista-cervello-gambe, nella marcia di potere
esse si realizzano a partire dalla relazione corpo-mondo. O, in
modo più preciso, dalla relazione tra "energia di dentro"
ed "energia di fuori". Quando riusciremo a spostarci a
gran velocità sul tipo di terreno che ho appena descritto,
spazzando appena il suolo con lo sguardo e mantenendo il ritmo e
l'equilibrio senza restare esausti, cadere o farci del male, saremo
pronti per la fase successiva.
3. A questo punto potremo praticare la marcia su terreni con pendenze
dapprima dolci, poi sempre più pronunciate. Aumentando la
sicurezza, potremo cominciare a cercare pendenze ripide e irregolari.
Inizialmente possiamo scendere lungo dei sentieri, poi, poco alla
volta, su terreni aperti. E' importante ricordare che questi risultati
non si possono raggiungere in un solo giorno, ma solo con una pratica
costante. Il tempo che ci vorrà dipende dalle condizioni
del praticante. Non c'è limite a ciò che si può
realizzare con la marcia di potere, né alle trasformazioni
che possiamo sperimentare realizzandola. Lavorando su questi tipi
di terreno, è molto importante non perdere il controllo.
Non ha senso raggiungere una grande velocità se facendolo
perdiamo ritmo e sicurezza, perché in tal caso cadremmo nel
campo dell'ordinario e potremmo farci del male.
4. Nella quarta fase bisogna praticare tutti gli esercizi finora
descritti, ma cambiando deliberatamente la velocità a seconda
delle variazioni del terreno e mantenendo lo stesso ritmo. La velocità
varia, ma il ritmo resta uguale. Bisogna includere anche delle salite,
più o meno pronunciate.
L'ultimo passo è solo per coloro che hanno raggiunto un buon
livello in tutte le fasi precedenti e consiste nel praticare di
notte, al buio.
5. Si può cominciare allenandosi al tramonto o alla luce
della luna, su terreni conosciuti. Le notti di luna piena sono particolarmente
propizie, non solo per la loro luce dolce, ma anche perché
facilitano il passaggio alla coscienza del lato sinistro. Quando
il nostro dominio aumenta, possiamo praticare la marcia in piena
oscurità e su terreni sconosciuti. In realtà, quando
si arriva a questo livello, già non si sta più realizzando
un esercizio voluto dall'io, ma è il corpo che agisce, secondo
un rapporto diretto con il mondo, al di là dei limiti della
ragione.
Commenti alla tecnica
Poiché il dialogo interno e la marcia di potere non possono
aver luogo simultaneamente, fin dai primi esercizi noteremo che
il dialogo tende a fermarsi, senza nessuno sforzo diretto da parte
nostra. Eseguire la marcia di potere esige la partecipazione di
tutta la nostra energia e non ne resta neppure un po' per il dialogo
interno. E' per questo che si tratta di un esercizio infallibile.
Naturalmente, se si esegue l'esercizio continuando a pensare, staremo
semplicemente correndo o trottando e non realizzando la marcia di
potere. Nei gruppi che coordino insisto continuamente sul fatto
che i praticanti ascoltino attentamente i messaggi del corpo, che
non consistono in pensieri o idee, ma in sentimenti. Questi messaggi
arrivano dalla conoscenza silenziosa che ogni essere umano possiede
e che purtroppo ascoltiamo assai di rado. Nel caso degli esercizi
diretti a eseguire la marcia di potere, bisogna enfatizzare che
nessuno deve forzarsi a praticare passi che si trovino fuori della
sua portata. Se ad esempio un gruppo sta scendendo da una montagna
a passo di marcia e uno o più membri sentono di non essere
in condizione di mantenere il passo degli altri, non devono cercare
di farcela a tutti i costi. Segni chiari di una situazione del genere
sono la perdita di fiato, la tendenza a inciampare spesso, cadere,
perdere l'equilibrio, eccetera. In tal caso è meglio diminuire
la velocità fino a ritrovare ritmo ed equilibrio.
Come ho già detto, eseguire la marcia di potere implica necessariamente
la cessazione del dialogo interno e quindi la connessione con parti
ignote del mondo e del nostro stesso essere. Inoltre, il fatto di
realizzare un lavoro tanto intenso in uno stato di silenzio interiore,
stabilendo una relazione attiva con il mondo della natura, apre
la porta a stati d'essere che si trovano nella coscienza dell' altro
io. Il nagualismo è una di tali possibilità.
Spiegazione della relazione tra la marcia
del potere e il fenomeno noto come "nagualismo"
Eseguendo la marcia di potere, specialmente al buio e in luoghi
disabitati, non è raro sentire di trasformarsi in qualche
animale. Lo si sente nella respirazione, nella sicurezza degli spostamenti,
nei suoni involontari che si emettono.
Io lo scoprii una volta in cui, lavorando con un gruppo, stavo percorrendo
in fila indiana un'enorme collina a sud di Città del Messico.
Era di notte e c'era la luna piena. Stavamo lavorando da due giorni
con una serie di pratiche fuori dall'ambito verbale, che noi chiamiamo
"la tribù". In quella camminata notturna c'era
un senso di pace, di essere avvolti dall'oscurità ed eravamo
un insieme di ombre che si spostavano nel loro ambiente naturale.
I vestiti strani, il fatto che da due giorni non pronunciavamo una
parola in linguaggi conosciuti e il lavoro intenso che avevamo praticato,
ci avevano portato in uno stato di coscienza particolare, in cui
l'ego e la storia personale non operavano. Eravamo una tribù
e dovevamo raggiungere il territorio di un'altra tribù, che
viveva sul lato opposto della montagna. All'improvviso cominciai
a sentire una specie di urgenza che mi portò ad aumentare
la velocità del passo. La vegetazione intorno diventò
ancora più fitta e il mondo si oscurò del tutto. Era
come se qualcosa mi spingesse, o piuttosto mi tirasse. Come se volessi
inseguire e raggiungere qualcosa di sconosciuto. Poco a poco mi
trovai a trottare e il ritmo si impossessò di me. Seppi che
potevo trottare o correre per tutto il tempo che fosse stato necessario.
Seppi che non sarei inciampato, malgrado intorno a me non vedessi
che ombre. Cercai di fare in modo che il gruppo mi seguisse, tentai
di "tirarlo", finchè ciò che tirava me si
fece più forte e mi afferrò una specie di vertigine.
Il mio passo si convertì in un trotto e il trotto in corsa.
Mi vedevo correre in piena oscurità, fuori sentiero e a una
velocità che in condizioni normali non avrei raggiunto neppure
di giorno e su un terreno piano. Qualcosa era cambiato nella mia
respirazione: era una respirazione profonda, selvaggia. Strani suoni
ansimanti e grugniti uscivano dal mio corpo. Ero diventato un animale
che correva per la montagna, nel suo elemento. Le ombre avevano
senso per me. Non era strano spostarmi in quell'ambiente. Era il
mio ambiente. Ero nato per quello, benché fino ad allora
non l'avessi saputo. Tutto era mistero e scoperta. Tutto era magia
e tutto era potere. Sperimentavo una felicità dell'altro
mondo nell'essere un animale selvaggio, senza pensieri. Senza storia.
Seppi che animale ero e seppi che lo sarei stato in segreto per
il resto della mia vita su questa terra.
Ci volle del tempo per tornare a essere me stesso e per ritrovare
i miei compagni. Non so cosa avrebbe visto un eventuale spettatore
della mia esperienza. Suppongo che sarebbe dipeso dalla sua sensibilità
e dalla sua capacità di "vedere". Un uomo comune
si sarebbe sicuramente preso un bello spavento.
Per me, comunque, non ci sono dubbi su ciò che successe.
Don Juan aveva ragione: non c'è altra realtà se non
quella che sentiamo. La realtà è un sentire. Quella
notte, correndo come un animale selvaggio per il monte, scoprii
il principio del nagualismo.
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